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A cura di Fabio Iadeluca
Nel suo magistero, Papa Francesco ripete accoratamente e senza stancarsi che la guerra è una sconfitta, riecheggiando quel che il suo predecessore, Pio XII (1939-1958), disse alla vigilia della seconda guerra mondiale (1939-1945): «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Tornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo».
Nello stesso tempo, il Papa venuto dalla “fine del mondo” non smette di farsi voce di tutti coloro che vengono oppressi dai crimini contro l’umanità, perpetrati in sfregio di ogni ragionevolezza soprattutto dai movimenti terroristici, siano essi locali e/o globali, in nome e per conto di ideologie religiose e politiche aberranti.
Questo nuovo ed imponente lavoro del Dipartimento Liberare Maria dalle mafie e dei suoi quaranta Osservatori vuole sostenere la voce e il magistero del Pontefice a partire da colei che, nella fede, «fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo (cfr. Lc 1,51-53); […] una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio (cfr. Mt 2,13-23): situazioni che non possono sfuggire all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le energie liberatrici dell’uomo e della società».
L’autentica devozione mariana conduce sempre alla ricerca della giustizia e della pace, allo stesso modo con cui sostiene la cultura dell’incontro attraverso il dialogo, la conoscenza reciproca e la collaborazione. Non è un caso che uno dei titoli mariani più diffusi sia quello di Regina della pace. Esso ha progressivamente preso il posto di un altro titolo, Regina delle vittorie: titolo rivelatosi nel corso del tempo profondamente ambiguo, perché connesso ad un’idea di vittoria come annientamento del nemico. Idea che – come oggi vede chiaramente chi ha occhi per vedere – muove sia la spaventosa macchina dei crimini di guerra, sia quella altrettanto terribile dei crimini contro l’umanità: due facce della “pulizia etnica” con cui qualcuno pensa di risolvere alla radice tutto ciò che impedisce di essere soli e di fare, conseguentemente, quel che si vuole con il pianeta e le sue risorse.
Ai miti ricorrenti della terra, del sangue, della superiorità (morale, etnica, religiosa), delle esigenze economiche, va contrapposta l’umile forza della ragione: l’unica in grado di trasformare le armi in parole che hanno il sapore dell’alternativa alla legge (presunta) della forza, alla inevitabilità (stabilita da chi?) dello scontro, alla guerra come “luogo etico per eccellenza” (di quale etica?).
Di questa umile forza della ragione la devozione mariana non solo non ha paura, ma si fa annunciatrice in una società pluralista e multiculturale, impedendo che il discorso su Dio e sull’essere umano divenga appannaggio dei propagandisti, dei manipolatori, dei dittatori e di tutti coloro che «hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti» perché hanno liberamente scartato quella «gentilezza [che] è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici».
Un grazie sincero al coordinatore dell’opera, l’infaticabile prof. Fabio Iadeluca, e a tutti coloro che hanno collaborato a questa ricerca nella sincera certezza che la pace e la giustizia sono sempre possibili; e che gli umani non sono condannati da chissà quale destino immutabile ad essere criminali.
Prof. Stefano Cecchin, OFM
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